I videogiochi di Arkane Studios non hanno mai trovato l’interesse del pubblico generalista. L’eccessiva complessità delle meccaniche e un ritmo non adatto a tutti sono i motivi principali dietro questo costante insuccesso commerciale. Deathloop cerca di risolvere queste problematiche, senza però rinunciare all’originalità e libertà d’azione che ha reso celebri i titoli dello studio francese.
Stessa spiaggia, stessa bottiglia
Ogni giorno un risveglio brusco sulla spiaggia. Ogni giorno il sole mattutino risveglia Colt, veterano di guerra e protagonista del gioco, e la giornata inizia sull’isola di Blackreef.
Il giorno successivo è uguale a quello precedente, come anche quello dopo e così all’infinito. Blackreef è intrappolata in un loop temporale creato da un imponente marchingegno. Gli unici a preservare i propri ricordi dopo che il tempo viene riavvolto sono Colt e Julianna. Il primo è determinato a spezzare il loop, la seconda vuole invece proteggerlo.
Per riuscire nel suo intento, Colt deve eliminare i Visionari. Sono sette e si trovano in zone diverse e in posti diversi. In una sola giornata è impossibile ucciderli tutti. L’unico modo per risolvere questo dilemma è utilizzare l’arma più potente in un loop temporale: l’informazione.
Il compito di Colt è quello di acquisire nozioni, utilizzarle per manipolare gli eventi ed elaborare il piano perfetto per mettere fine alla vita dei visionari e rompere il loop.
Un rapporto complicato
Colt è una persona diretta, testarda e incline a utilizzare innumerevoli turpiloqui. Dietro quel carattere un po’ spaccone alla statunitense, si nasconde una mente analitica e un’abile stratega. Julianna è sagace, intellettuale e appassionata di scrittura. Il rapporto tra Colt e Julianna è di odio-amore, fatto di continui battibecchi e prese in giro reciproche. I dialoghi sono incalzanti, e anche il principale mezzo espositivo della trama principale, la quale affascina per la sua ingegnosità. Tuttavia, alla sua conclusione non tutte le domande trovano risposta e dal punto di vista emotivo non ha toccato nessuna mia corda.
Una quasi perfetta assonanza ludonarrativa
Negli ultimi anni si è discusso di dissonanza ludonarrativa. Termine utilizzato per descrivere quando in un videogioco la parte ludica, ovvero ciò che il gioco chiede di fare al giocatore, è in contrapposizione a quello che il gioco vuole raccontare.
Deathloop è praticamente privo di questo difetto. Ogni azione che avviene in gioco è giustificata a livello narrativo: il checkpoint stesso è parte integrante della storia grazie al concetto del loop temporale; uccidere innocenti è moralmente giustificato dal fatto che non muoiono realmente, sempre a causa del loop. La poca efficienza degli avversari può essere anch’essa giustificata dall’esperienza militare di Colt e le sue abilità superumane.
D’altro canto, anche nei loro giochi precedenti Arkane Studios ha dimostrato di saper risolvere questo problema concettuale. La loro abilità di fondere narrazione e gameplay è ormai unica, soprattutto in un mercato in cui si tende sempre di più a narrare con mezzi cinematografici piuttosto che videoludici.
La validità della sceneggiatura è indubbia, ma non è il fiore all’occhiello della componente narrativa di Deathloop. Come già fatto in passato con Dishonored e Prey, Arkane è più interessata a costruire un universo immaginario credibile, originale e in cui il giocatore può immergersi. La loro è una narrazione scenografica, in cui le storie vengono espresse tramite l’ambiente e i variopinti personaggi che lo popolano; attraverso anche una ricchissima documentazione, presente sotto forma cartacea, messaggi di chat o registrazioni audio. Un modo di raccontare che richiede l’interazione del giocatore, distinguendosi dalla più sempre narrativa passiva di stampo cinematografico, ormai abusata in molte produzioni.
Spara, salta e ricomincia
Dishonored è un gioco amato della mia collezione, e lo stesso posso dire di Prey. Nonostante abbia un ricordo positivo dell’esperienza, entrambi mi hanno procurato un’ansia insensata.
Il primo a causa della mia ossessione per un punteggio finale perfetto: senza cadaveri visibili e uccisioni (per il finale buono). Ho logorato i tasti F5 e F9 (salvataggio e caricamento rapido rispettosamente) per ripetere azioni che non ritenevo sufficientemente perfette; per poi scoprire sul sommario di fine livello che qualcuno di troppo delicato è morto per una banalissima caduta sul marciapiede.
Prey mi ha quasi distrutto per l’ambientazione angosciante, il senso di isolamento e il senso di responsabilità. Non mi piaceva stare a bordo di Talos I, circondato da mostri mutaforma.
Se da una parte il problema è prettamente personale, dall’altra la colpa è in parte dovuta a come si presentano al pubblico i giochi di Arkane Studios. Sembrano pensati per un pubblico maturo; professionisti del gaming che non hanno paura di sistemi complessi e dedicarsi con tutto se stessi a un videogioco.
Deathloop è una versione alleggerita da tutte quelle meccaniche pesanti e poco amichevoli. Questo non si traduce in una semplificazione, come si potrebbe temere, ma in una maggior fruibilità e spensieratezza per far godere il titolo a un pubblico più vasto. In parte una scelta commerciale, ma a parer mio è una decisione presa dagli sviluppatori i quali, consapevoli di questi problemi, hanno voluto porne rimedio.
Il giocatore può approcciare gli avversari in svariati modi, combinando abilità acrobatiche, poteri, gadget e armi. In particolare, Arkane ha lavorato molto per rendere funzionali soluzioni più dirette e aggressive. Infatti, nei suoi giochi passati, soprattutto Dishonored, le meccaniche di scontro sono molto meno raffinate rispetto allo stealth.
Deathloop invece ha una componente da sparatutto più marcata e una maggior diversità di armi da fuoco. Grazie all’esperienza con Wolfenstein Youngblood, Arkane è riuscita a creare armi con un ottimo feedback, soddisfacenti da utilizzare e che si differenziano per portata, potenza e velocità di fuoco.
Il sistema di personalizzazione del personaggio è stratificato e intelligente. Ogni giocatore può scegliere il proprio stile combinando sapientemente attrezzature e poteri con le abilità passive. Tre le molte scelte si può creare, ad esempio, un soldato veloce e abile con l’arma bianca oppure un silenzioso ninja che elimina gli avversari senza lasciare traccia.
Diversamente intelligenti
Una delle critiche spesso rivolte a Deathloop è la deficienza dell’intelligenza artificiale.
I nemici non sono particolarmente svegli: il loro udito è limitato e non fanno molto caso alla mancanza di un loro compagno (i loro corpi spariscono); ogni tanto si incantano e muovono in maniera insensata. Tuttavia ci vedono ben distante e, anche se scoordinati, sono bravi a stanare il giocatore.
Onestamente non ritengo che il gioco Arkane Studios abbia una IA peggiore rispetto alla media. La spiegazione più sensata di questa lamentala è l’incapacità del pubblico di discernere tra cattiva programmazione (pessima IA) e scelta di game design.
Limitare il campo sensoriale dei nemici è una scelta degli sviluppatori. Probabilmente presa dopo svariati test per rendere meno stressante il gioco a utenti poco pazienti e non abituati allo stealth. Avversari più severi avrebbero aumentato anche la difficoltà e, data la mancanza di salvataggi manuali, anche la frustrazione per una perfetta azione stealth rovinata da uno stupidissimo errore.
Per quanto riguarda i combattimenti a fare forza è il numero. Gli avversari talvolta si fiondano a testa bassa. Altre volte invece sono incredibilmente bravi a scovare e trovare una posizione favorevole per colpire Colt. Ad esempio, ho provato a rimanere fermo su una piattaforma in alto e protetta frontalmente. Inizialmente hanno provato a bersagliarmi dal basso, ma poi hanno fatto il giro ai lati e sparato dalle finestre.
Quello che non sono invece capaci è adottare strategie di gruppo. A fare l’avvocato della difesa, bisogna considerare che non si sta combattendo contro soldati addestrati come gli helghast in Killzone 2, ma contro civili sballati e senza nessuna preparazione; che non hanno tra l’altro nessuna paura di morire perché nel loop non si muore mai veramente.
Il livello di sfida non è compromesso e, pertanto, non lo trovo un difetto del gioco. Se devo fare una critica è la mancanza di opzioni in cui regolare l’intelligenza degli avversari, in modo da renderli più letali perché lo esige. Una funzione che possono sempre aggiungere in futuro.
Una scoperta a ogni giro
L’isola di Blackreef è divisa in quattro zone, e quattro sono anche le fasce orarie (mattino, mezzogiorno, pomeriggio, sera). In base all’orario di visita, la zona dall’isola cambia permettendo l’accesso a missioni prima inaccessibili. Per completare la trama principale basta seguire le indicazioni su schermo, ma per completare le attività secondarie è necessario tenere conto del quando e del dove. Come dicevo prima, l’informazione è lo strumento cardine per completare le missioni, e per sbloccare i molti segreti di Blackreef è necessario modificare gli eventi a proprio favore. Ad esempio, se alla sera un posto è chiuso perché il suo titolare ha deciso di sacrificarsi sull’altare, per ottenere l’accesso a quel luogo è necessario salvarlo al mattino (al loop successivo).
Accumulatori seriali
Essendo in un loop, allo scadere del tempo si ricomincia da capo e tutto ciò che si possiede viene perso. Questo se non si utilizza la fusione: una speciale abilità che permette di conservare qualsiasi oggetto raccolto al loop successivo.
Per fondere un oggetto bisogna avere sufficiente essenza. Questa si trova in oggetti inanimati o si può raccogliere dai boss uccisi.
A inizio gioco è necessario scegliere quali oggetti salvare e quali gettare. Più passa il tempo, più oggetti aumentano nell’inventario e, in tempi abbastanza brevi, non è più necessario fare sacrifici perché l’essenza è sempre sufficiente. Verso la fine del gioco non ho nemmeno perso tempo a gestire gli oggetti perché possedevo già tutto il necessario.
Le indagini secondarie sono molte e spesso portano a un ricco bottino. Per risolvere tutti gli enigmi ci vuole astuzia e un’accurata perquisizione dalla mappa, un passatempo adatto per i pazienti e curiosi.
Come da tradizione Arkane Studios, il level design è estremamente articolato e verticale. Sfaccettato e diversificato, le quattro aree dell’isola sono una fonte continua di scoperte e misteri. Inoltre esistono più soluzioni per risolvere le prove e l’inventiva è incentivata.
Invasioni asincrone
Julianna vuole impedire a Colt di spezzare il loop e farà tutto ciò che è in suo possesso per fermarlo. Questo si traduce in un’invasione di Julianna in partita, in qualsiasi mappa e in qualsiasi momento. Le opzioni sono due: scappare (ma bisogna prima sbloccare le gallerie hackerando l’antenna) o uccidere Julianna.
Eliminarla garantisce un ottimo bottino e non così difficile; la versione pilotata dal computer almeno. Infatti, Julianna può essere controllata da un altro giocatore online grazie alla funzione di multiplayer asincrono. Nel mio giocato ho sempre utilizzato la versione offline e probabilmente molti altri, dato che non sono nemmeno riuscito una volta a giocare come Julianna.
Questa meccanica di gioco ho un suo senso narrativo, ma alla lunga è una scocciatura. Queste intromissioni sono fastidiose, specialmente quando si gioca in stealth e il suo arrivo attiva tutti i nemici circostanti, costringendo al combattimento diretto.
Tecnicamente traballante
La grafica è in linea con le produzioni odierne. Il gioco è stato sviluppato con il pesante Void engine, un programma poco amato dagli utenti a causa delle pessime performance su PC. Un problema presente purtroppo anche in Deathloop.
I requisiti raccomandati sono sopra la media. L’unica salvezza è l’utilizzo dell’AMD FidelityFX, una tecnologia creata da AMD che effettua un upscaling partendo da una risoluzione più bassa da quella richiesta. Se il numero di frame quasi raddoppiata in certe situazioni, in altre aggiunge solamente 10fps. Il prezzo visivo da pagare è relativamente alto: l’immagine perde di dettaglio, soprattutto sugli oggetti vicini. Tuttavia si nota (almeno ai miei occhi) solo quando il gioco è fermo, cosa che raramente capita.
Anche se fa piacere vedere nuove tecnologie implementate, la mancanza di ottimizzazione è inaccettabile. Con la mia stessa configurazione (Intel i7 9700k, 16gb di RAM DDR4, GTX 1070) ho giocato titoli ben più belli graficamente, senza particolari problemi.
Il gioco presenta un buon numero di effetti di luce (compreso il raytracing, anche senza chip Nvidia specifico) e una qualità buona generale delle texture. Non è un gioco che punta al realismo, come nemmeno lo facevano Prey o Dishonored ai loro tempi, ma al massimo dei dettagli è comunque piacevole.
Per quanto riguarda il lato artistico, non sono stato particolarmente impressionato dalla parte visiva di Deathloop. Non è un titolo che mi rimarrà impresso per la sua ambientazione. La colonna sonora invece è molto pop e segue bene il ritmo dell’azione.
Commento Finale
Deathloop è una conferma delle indiscusse capacità di Arkane Studios. Un team che ha sempre dimostrato di tenere molto di più alla propria originalità che allo spessore del proprio portafoglio. Deathloop risolve diverse delle problematiche che rendono ostili i loro precedenti titoli al pubblico di massa; senza però rinunciare all'unicità e raffinatezze di game e level design a cui ormai ci hanno abituato. Nonostante un comparto tecnico nelle media e mal ottimizzato su PC, Deathloop è un gioco intelligente, godibile e che può trattenere per oltre 20 ore, nelle quali la ripetitività e conseguente noia non sono mai occorse.