Gli sviluppatori di Awaceb sono riusciti a rappresentare la cultura e i paesaggi della Nuova Caledonia senza sacrificare il gameplay?
Esiste un’isola tra Australia e Fiji chiamata Nuova Caledonia. Un pezzo di terra nel continente oceanico e luogo d’origine dei cofondatori di Awaceb. Un luogo che questo team di sviluppo ha deciso di omaggiare tramite un videogioco: Tchia.
Tra viaggi e canti
Prima di un videogioco Tchia vuole essere un tributo alla Nuova Caledonia, che come detto prima, è il paese nativo degli sviluppatori. Un open world è pertanto una scelta sensata per permettere di visitare liberamente l’isola, scoprirne i paesaggi, gli animali, le persone e la loro cultura. Un viaggio turistico in questa isola poco conosciuta dell’Oceania, a cui hanno contribuito anche gli stessi abitanti dando voce ai personaggi (che parlano francese e la lingua tradizionale).
Tchia esplora le tradizioni e il folklore della Nuova Caledonia, compresa la cucina e musiche, mescolandoli alla sua mitologia per creare una storia fantasy in cui finzione e realtà si uniscono.
Tchia vuole essere un biglietto da visita per attirare le persone a visitare un luogo. Una cartolina digitale e interattiva che cerca di trasporre al meglio delle sue possibilità la Nuova Caledonia.
Polli senza testa
Una ragazzina di nome Tchia, per una serie di eventi, si vede costretta a lasciare l’isolato luogo con cui viveva col padre e viaggiare per le isole della Nuova Caledonia.
La storia di Tchia è per famiglie: adatta per un pubblico di bambini (anche se certe scene sono un po’ splatter) e godibile anche per gli adulti. Quel perfetto compromesso adatto per abbracciare il maggior numero di persone. La trama di Tchia è la classica favola di formazione in cui il protagonista, per una serie di eventi, compie un viaggio che cambia la sua vita. L’esecuzione è buona e ammetto che, grazie anche all’ottima colonna sonora, ci sono stati alcuni momenti carichi di emozioni. Tuttavia, alcune scelte narrative sono state prese per necessità di game design e risultano quindi leggermente forzate.
Non è di certo una novità avere storie in cui il protagonista/giocatore deve, per esigenze di trama, compiere azioni che dal punto di vista narrativo hanno poco valore. Scrivere sceneggiature per un videogioco, ancora di più se openworld, è sempre stato un compito arduo. Il lavoro fatto da Awaceb, per essere al loro secondo gioco, e il primo a tre dimensioni, è buono e anche migliore rispetto ad altre produzioni con molti più soldi ed esperienza.
Volare come un uccello, nuotare come un pesce
Tchia è dotata dell’abilità magica di potersi trasferire dentro qualsiasi oggetto o animale (umani esclusi) e controllarli.
Questo potere è utile per muoversi velocemente sfruttando gli animali più adatti in base alla situazione. Infatti, ogni tipologia di animali ha una sua abilità unica. Per esempio, l’uccello può viaggiare rapidamente volando e superando qualsiasi ostacolo. Il pesce, o altri animali acquatici, sono altrettanto rapidi nell’acqua. Cani e gatti possono invece scavare, dote utile per trovare i tesori. Si possono anche controllare mucche, insetti, cinghiali e diverse altre creature, che però non hanno caratteristiche particolari.
Anche gli oggetti possono essere controllati e mossi. Non solo si muovono ma possono anche essere lanciati. Una strategia utile contro i nemici è infatti quella di prendere controllo di un oggetto esplosivo o pesante, e scagliarsi contro un avversario.
Parlando di nemici, Tchia ne prevede pochissimi: delle specie di demoni fatti di stoffa che si uccidono col fuoco. Si trovano in certe zone della mappa, e vanno eliminati per ottenere una ricompensa estetica.
A dirla tutta, Tchia è poco variegato anche a livello di sfida: i combattimenti sono pochi ed eccessivamente abbondanti verso la fine del gioco. Senza addentrarmi troppo nella storia, le ultime ore vedono il giocatore impegnato quasi esclusivamente a combattere questi demoni, i quali si possono essere sconfitti con un solo modo e, pertanto, l’azione diventa ripetitiva.
La ripetitività è una criticata che vale anche per la prima metà del gioco: le attività da svolgere nella storia principale sono infatti simili tra loro e si tratta sempre di raccogliere qualcosa o parlare con qualcuno.
Volendo si possono svolgere attività secondarie come la corsa o il tiro a bersaglio, oppure perdere tempo a modificare l’outfit di Tchia (che include numerosi oggetti estetici e capigliature), ma queste non sono sufficienti a lenire la ridondanza del videogioco Awaveb.
Tchia avrebbe giovato di un maggior varietà di gameplay aggiungendo sezioni platform ed enigmi. Solamente nelle fasi finali arriva un po’ di diversità, ma non a sufficienza da compensare il vuoto di tutto il resto.
Suonare e planare
Tchia non propone un gameplay particolarmente profondo e articolato, né tantomeno nuove e originali idee. Tuttavia, riesce a mettere insieme diverse meccaniche già viste in altri videogiochi in un mix funzionante.
Tchia può interagire con ogni animale, e per interagire si intende accarezzarlo. Alcuni animali si possono anche prendere e lanciare, oppure metterli in inventario. Non è ben chiaro perché si possa fare una cosa del genere ma è divertente per me.
Tchiapuò planare usando un aliante, stile The Legend of Zelda: Breath of The Wild (o il più recente Horizon: Forbidden West). Dal titolo Nintendo eredita anche la barra della resistenza, che regola i secondi che Tchia può volare, oppure altre azioni come l’arrampicata. Infatti, sempre come Link, anche la ragazzina della Nuova Caledonia può scalare qualsiasi parete, anche se di liscio metallo.
L’unica meccanica originale è quella che permette a Tchia di dondolare un albero e poi farsi lanciare, come fosse una catapulta.
Tra gli oggetti a disposizione di Tchia si trova un ukulele. Questo può essere suonato liberamente oppure eseguire delle melodie magiche che hanno funzioni diverse. Ad esempio, una di queste cambia la fascia oraria (mezzogiorno, alba, tramonto, mezzanotte) un’altra evoca un animale (abilità utile per chiamare gli uccelli e usarli per volare). Queste melodie incantate si sbloccano completando il gioco delle pietre in equilibrio in cui, come il nome suggerisce, bisogna posare delle pietre una sopra l’altra in modo da costruire una torre.
Nella borsa di Tchia si trovano una macchina fotografica a pellicole. A parte divertirsi a scattare foto, questo oggetto non ha una reale utilità se non in certe specifiche missioni. Altro oggetto raramente utile è la fionda: questa serve per colpire i bersagli con dei sassi, ma è inefficace contro i nemici e serve giusto a distruggere piccole cose.
Nuova Caledonia
Tchia fa un uso sapiente di colori e illuminazione per creare bellissimi scenari, compensando in parte per una grafica arretrata: dal punto di vista tecnico Tchia mostra i suoi lati deboli, evidenti particolarmente nelle scene dove la direzione artistica è meno presente, come nelle zone industriali. Inoltre, l’ottimizzazione non è delle migliori, ma anzi i cali di frame rate sono frequenti e in situazioni poco prevedibili (ad esempio in una stanza chiusa con pochissimi oggetti).
Le musiche sono ispirate ai canti tipici della Nuova Caledonia, e in perfetta sintonia con l’ambientazione. Ambientazione molto suggestiva, seppur nella sua semplicità. Lo stile dei personaggi è semplice e cartoonesco, e nonostante la poca mole di poligoni ed espressioni facciali riescono lo stesso a comunicare i loro stati d’animo.
scritto da Filippo Giacometti e pubblicato il giorno
Commento Finale
Tchia non vuole innovare, né pretende di essere un gioco originale o complesso: vuole solo raccontare al mondo della Nuova Caledonia. E da questo punto di vista ci è riuscito benissimo. A gioco concluso dell’isola si conosce un po’ la lingua, i luoghi, la cultura e il cibo. Certo, in sette ore non si impara veramente tutto, ma un assaggio per stuzzicare l’interesse su questa isola poco nota. Il gameplay è derivativo e chiaramente ispirato dai migliori esponenti sul campo, ma questo mix di meccaniche funziona soprattutto perché comunque ben replicate. Graficamente è arretrato e mal ottimizzato, ma compensa con una buona direzione artistica, anche se purtroppo non sempre di qualità.
Gameplay
Meccaniche di gioco e level design
75
Tecnica
Grafica e ottimizzazione
60
Arte
Direzione artistica, storia e musiche.
80
Esperienza utente
Interfaccia utente, accessibilità e fruibilità
80
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Commento Finale
Tchia non vuole innovare, né pretende di essere un gioco originale o complesso: vuole solo raccontare al mondo della Nuova Caledonia. E da questo punto di vista ci è riuscito benissimo. A gioco concluso dell’isola si conosce un po’ la lingua, i luoghi, la cultura e il cibo. Certo, in sette ore non si impara veramente tutto, ma un assaggio per stuzzicare l’interesse su questa isola poco nota. Il gameplay è derivativo e chiaramente ispirato dai migliori esponenti sul campo, ma questo mix di meccaniche funziona soprattutto perché comunque ben replicate. Graficamente è arretrato e mal ottimizzato, ma compensa con una buona direzione artistica, anche se purtroppo non sempre di qualità.