Una retrospettiva sui videogiochi di un tempo raffrontati a quelli di adesso quando ancora non esistevano DLC e patch del Day One
Diversi anni fa, ma nemmeno tanti, quando usciva un nuovo videogame e andavamo in negozio a spendere quei 60 euro per comperarlo, sapevamo di prendere un titolo completo che così com’era quando l’abbiamo comprato così sarebbe stato. Gli sviluppatori si impegnavano a completare lo sviluppo il meglio possibile prima della messa sul mercato, in modo da garantire un prodotto di qualità all’acquirente. Erano bei tempi quelli, in cui le case si preoccupavano veramente di produrre titoli di valore capaci di innovare e far vibrare i nostri joypad dalla gioia.
Oggi la situazione è cambiata: computer e console sono ormai costantemente collegati alla rete, un legame inestricabile, di cui la software house approfittano per rilasciare, dopo l’arrivo nei negozi di un videogame, numerosi aggiornamenti e contenuti aggiuntivi. Non sarebbe una brutta cosa se questo sistema non fosse abusato ai limiti della truffa per mettere in piedi trappole commerciali la cui vittima è il consumatore desideroso di giocare con il titolo che preferisce. Ormai è ricorrenza per tutti i titoli più importanti la nota patch del “day one”, ovvero quell’aggiornamento che va a sistemare i vari bug che non è stato possibile mettere a posto prima che il gioco finisse in produzione, ritrovando spesso chi gioca con un prodotto al di sotto delle aspettative, non perfettamente funzionale, in poche parole un prodotto incompleto.
Questo è quello che vendono le grandi case videoludiche: titoli ancora del tutto da finire afflitti da diverse problematiche o ancora peggio, venduti a blocchi, con il resto del gioco venduto attraverso DLC, espansioni e add on vari seppur è risaputo siano stati preparati con mesi di anticipo. Trovo ridicolo che si faccia la pubblicità di DLC ancora prima che esca il gioco; non so nemmeno se è bello o meno e già mi rompi i maroni con altra roba da comprare? Spendiamo 60/70 euro e spesso ci ritroviamo in mano con mezzo gioco, non pienamente funzionante e che sarà tale solo dopo diversi mesi di lavoro mentre intanto ci vendono tutti i tasselli mancanti che non hanno volutamente inserito nella versione finale.
Assassin’s Creed Unity – ambientato in Francia
Un esempio? Ce ne sono a bizzeffe. L’oggi uscito Assassin’s Creed Unity è un ottimo esemplare di questo meccanismo commerciale: infatti diversi sono i videogiocatori che si lamentano di svariati bug, cali di frame rate aberranti, glitch, texture non sempre all’altezza e una ottimizzazione rasente lo zero per la versione PC; si parla di picchi massimi di 60 frame con due GTX 980, in soldi si tratta di due schede grafiche da 600 euro l’una. Mentre intanto già sono previsti i DLC ma non preoccupatevi, riuscirete ad averli tutti a prezzo scontato grazie ai Season Pass, ennesimo furto legalizzato: da pochi anni è infatti arrivata la moda di vendere tutti i contenuti aggiuntivi digitali in un unico pacchetto comprabile prima che escano i suddetti DLC, un pass stagionale per tutti i contenuti futuri che verranno rilasciati per il gioco. Un esempio ancora? Battlefield 4: il titolo DICE è stato rilasciato un anno fa, è uscito dalla fase di beta test (non per EA si intende ma per gli utenti) pochi mesi fa. Si, perché ormai noi siamo i tester per i titoli che compriamo, lavoro che dovrebbero effettuare gli sviluppatori prima che il prodotto arrivi in negozio. In conclusione chi ha speso soldi per la propria copia del FPS bellico DICE ha comprato un gioco incompleto, perché all’interno del disco troviamo solo metà delle mappe con il resto in arrivo attraverso il Premium (o comprabile ognun separatamente) e con un multiplayer afflitto dalle più sporadiche problematiche.
La verità, seppur amara, è che quando qualcosa diventa un business da miliardi di dollari la qualità cala perché l’unica cosa che interessa a chi vende è il profitto. Puoi fare il miglior gioco del mondo ma se non vendi niente non campi molto, al contrario, se produci un gioco peggiore ma vendi una marea di copie e sai che la volta successiva la gente comprerà ancora il tuo prodotto, allora puoi permetterti di fare giochi malamente, non è giusto ma così funziona questo mondo. I soldi per produrre un titolo metà vanno allo sviluppo effettivo, i restanti al marketing che si premurano di far mostrare il prodotto come il più bello sul mercato, ingannando e sviando l’acquirente che comprerà il videogame per poi ritrovarsi deluso.
Fortunatamente non tutti la pensano così e c’è chi ancora pensa che la qualità venga prima di tutto: Naughty Dog è una di queste e con The Last of Us, l’action esclusivo PlayStation, è riuscita a piazzarsi nel podio dei titoli più venduti ma anche in quello dei più amati, non solo per la bellezza del titolo in sé, ma per la politica di Sony meno pedante rispetto agli altri publisher. Sono stati rilasciati diversi DLC per il multiplayer il quale però non è il fulcro del gioco e uno solo, ma di valore, per il single player.
Potevano farne altri e la gente li avrebbe comprati, però gli sviluppatori non li volevano perché non erano necessari ai fini della trama. Qualità prima dei soldi. CD Projekt è anch’essa una software house da stimare, una delle poche a dire no ai compromessi e che mantiene le promesse, inoltre è l’unica che dà fiducia al compratore non adottando sistemi di anti-pirateria fastidiosi e distribuendo gratuitamente i DLC.
Cosa ne pensate voi?
scritto da Filippo Giacometti e pubblicato il giorno