A vederlo durante le presentazioni, Kena: Bridge of Spirits sembrava uno di quei giochi carini, apprezzabili alla vista ma poco concreti a livello di gameplay. Quel genere di prodotto che arriva e passa sottobanco, senza lasciare un segno nell’industria.
Forse un segno sul mercato non lo lascerà, ma avrà sempre un posto nel mio cuore di videogiocatore.
Racconta storie digitale
Titolo di debutto del team Ember Lab, Kena: Bridge of Spirits è un action/adventure dallo stampo fortemente cinematografico.
Questa scelta registica non è casuale: Ember Lab nasce come studio dedito alla creazione di contenuti digitali e cortometraggi d’animazione in computer grafica.
Grazie a questa esperienza, sono riusciti a creare il gioco che più si avvicina a un film d’animazione tridimensionale. Il lavoro svolto dal team ha poco da invidiare alla Pixar per quanto riguarda il design dei personaggi, l’ambientazione e la realizzazione dei filmati.
L’ambientazione è una distesa lussureggiante di verde, in cui la natura primeggia sulle costruzioni artificiali. Un luogo armonioso e intrinseco di una magia antica.
Il gioco prende ispirazioni da diverse culture orientali (Giappone e Indonesia, le più evidenti), le cui evidenze si possono trovare nell’arte scultorea come nell’architettura. La colonna sonora ha ritmi e colori indonesiani, mescolati a sonorità più occidentali per i momenti in cui è richiesto un suono più pomposo ed epico.
La religiosità prende spunto da concetti induisti, come l’ordine cosmico e l’equilibrio tra gli esseri viventi. La crescita interiore come strumento per cercare la pace e l’armonia con l’universo.
Tutto giunge alla fine, e quando arriva bisogna accettarla
Kena, la protagonista del gioco, ha il difficile compito di guidare gli spiriti nell’aldilà. Feroce contro le forze del male e la corruzione con cui si manifesta, empatica e altruista con le persone che chiedono il suo aiuto. Conforta i bisognosi, senza mai accusare, senza mai essere arrabbiata, anche nei confronti di coloro che lo meriterebbero.
La storia parla del cambiamento: come spesso sia difficile accettarlo e, presi dalla disperazione, si faccia di tutto per evitarlo anche se le conseguenze sono gravi. Kena: Bridge of Spirits è un racconto sulla natura e la sua neutralità in questo mondo. La natura è portatrice di vita ma anche di morte. Aspetti che entrambi vanno accettati per vivere insieme ad essa.
La messa in scena di questo racconto avviene tramite filmati. Questi sono diretti da una regia attenta ai particolari, in grado di far confluire le emozioni attraverso un eccellente composizione dell’immagine, e una recitazione facciale capace di comunicare molto con un semplice sguardo.
Un mondo meraviglioso da scoprire
Il mondo di Kena: Bridge of Spirits è un piccolo openworld, diviso in biomi che si sbloccano proseguendo l’avventura. Al centro si trova il villaggio, il quale collega tutte le aree.
Tanti cappelli, per altrettanti Rot
La missione di Kena è difficile e piena di pericoli. Fortunatamente in suo aiuto ci sono i Rot.
Piccole creature magiche, con facce buffe e molto simpatici. Oltre a intenerire, i Rot obbediscono agli ordini di Kena e possono essere utilizzati in svariati modi. Innanzitutto sono fondamentali per distruggere la corruzione e liberare la zona, come anche sono necessari per recuperare vita in combattimento (altrimenti si rigenera quando non ci sono nemici). Grazie a loro, Kena può sferrare potentissimi attacchi, bloccare i nemici e spostare oggetti pesanti.
L’esplorazione è costantemente incentivata tramite una collocazione intelligente di indizi. Alcune volte si presentano come sezioni platfom, che se completata, porta a una cesta ricca di gemme (fondamentali per comprare i cappelli ai Rot) oppure, nascosta per bene, un luogo di meditazione in cui aumentare l’energia vitale di Kena. Altre volte sono enigmi ambientali che richiedono attenzione all’ambiente circostante per essere completati. Per i guerrieri sono presenti i forzieri maledetti: questi rimangono chiusi fino al completamento di una sfida di combattimento.
Raramente mi dedico all’esplorazione in un gioco. Non è nelle mie corde investigare ogni centimetro di mappa solamente per trovare un elemento estetico. Talvolta, come per questo gioco, il mondo immaginario mi ispira così tanto da sollecitarmi a viaggiare per i suoi meandri digitali.
Non innovativo, ma familiare
Le meccaniche di Kena: Bridge of Spirits sono molto derivative ma comunque ben implementate e costruite. Il gioco ha ritmo e varietà, e riesce a coniugare i diversi tipi di gameplay, implementando alcune idee intelligenti e contestuali.
Solitamente non amo paragonare un gioco facendo riferimento a titoli precedenti. In questo caso però le citazioni sono palesi, e anche comprensibili in quanto è pur sempre il primo rodeo di Ember Lab.
La componente platform prende in prestito da Uncharted la scalata e gli scivoli, ma con meno risvolti spettacolari rispetto alle gesta di Nathan Drake. Gli enigmi sono ispirati da diversi classici dell’avventura (Zelda in primis) e i combattimenti seguono (parzialmente) il genere dei Souls.
Gli strumenti di Kena, l’arco e le bombe e anche i Rot, sono utili in combattimento come altrettanto necessari per completare per proseguire nel gioco. Ad esempio, l’arco è letale contro i nemici volanti ma utile per attivare in sequenza cristalli e così aprire una porta. Una bomba può stordire un nemico, ma anche in grado di muovere certi elementi dello scenario e creare piattaforme su cui saltare.
Platform ed enigmi sono così perfettamente amalgamati insieme in un’unica ed efficace soluzione. Verso la fine del gioco la complessità aumenta maggiormente e conseguentemente anche il livello di sfida.
I combattimenti sono dinamici e richiedono concentrazione. Ci sono sufficienti diversi tipi di avversari da tenere alta l’attenzione in ogni scontro.
Kena è dotata di poche ma efficaci mosse da combattimento. Oltre ai già citati arco e bombe, i Rot possono essere utilizzati come potente arma contro gli avversari. In particolare, ho trovato letale il martello dei Rot, che è anche facilmente sbloccabile a inizio gioco.
Non chiamatelo gioco per bambini
Con i suoi pupazzosi spiritelli, una musica incantevole e uno stile di pixariana memoria, Kena parrebbe un gioco rilassante e da provare insieme a tutta la famiglia. Un’apparenza che decade quando si incontrano i boss. Oltre a essere numerosi, menano come un fabbro che ha appena scoperto che sua moglie lo tradisce con il suo miglior amico. Attaccano senza sosta e con diverse mosse, alcune veramente bastarde. Hanno dei punti deboli per agevolare la loro uccisione, ma sono opzionali ed è possibile sopraffare il nemico come si preferisce.
Per essere grandi bisogna imparare dai migliori
Kena: Bridge of Spirits non porta nulla di nuovo negli adventure game. Aspettarsi diversamente, da un team debuttante come Ember Lag, sarebbe stato pretestuoso da parte nostra e arrogante da parte loro.
Per cambiare le regole bisogna prima conoscerle, e i creatori di Kena: Bridge of Spirits hanno dimostrato di aver studiato con attenzione dai maestri che le regole le hanno inventate. Alla fine nemmeno copiare è facile, ancora di meno dai migliori.
Un gioco anche un po’ nostalgico; almeno lo è stato per me. Giocandoci, la mia mente è ritornata indietro quando ero un bambino e mi approcciavo per la prima volta ai videogiochi. Un sentimento agrodolce, che ho anche percepito quando, sempre quest’anno, ho provato It Takes Two.
Commento Finale
Seppur non aggiungendo nulla di nuovo nel genere, Kena: Bridge of Spirits è un pacchetto ben confezionato di azione, esplorazione e narrazione. Prende spunto senza però copiare dai punti di riferimento del genere, unendo meccaniche familiari con alcune piccole idee originali. Se come gioco è estremamente valido, lo è ancora di più come opera artistica. Se The Last of Us: Parte 2 ha portato quasi a zero la differenza tra videogioco e cinema drammatico, Kena ha fatto lo stesso con quello di animazione. Un gioco incantevole, da giocare quanto da vedere e ascoltare.