Può il dio della guerra essere buono?
Anni di violenza ed egoistica vendetta, oltre a una ferrea educazione spartana, hanno plasmato Kratos in un invincibile guerriero senza rimorso e pietà. Un dio rabbioso che, accecato dall’odio, ha trucidato l’intero Olimpo portando alla distruzione dell’intera Grecia.
Un passato che dopo anni ancora lo perseguita. Un nome, quello del Fantasma di Sparta, che ancora riecheggia nel mondo, e la cui fama è un fardello difficile da portare.
Come liberarsi di tale natura? Esiste redenzione per chi ha le mani sporche del sangue di così tanti?
Nello stesso modo in cui la violenza trasforma un uomo (anche un dio) in mostro, anche l’amore può rendere un portatore di morte un’anima gentile. Un amore romantico verso una dolce gigantessa, o un amore paterno per un figlio.
God of War: Ragnarök non solo conclude il ciclo nordico iniziato nel God of War del 2018, ma continua il processo di trasformazione di Kratos, e il complicato rapporto con il figlio Atreus.
Ognuno è artefice del proprio destino
Un lungo e freddo inverno si manifesta a Midgard (ovvero la Terra): il lago è ora ghiacciato e la neve ricopre completamente la foresta. Tale evento si chiama Fimbuwinter, ed è l’annuncio dell’imminente arrivo del Ragnarök, la fine di tutti i regni.
Atreus e Kratos, insieme a Mímir, sopravvivono come possono a questo duro clima e (se l’apocalisse nordica non fosse abbastanza) devono anche difendersi dagli attacchi di Freya, in cerca di vendetta per la morte del figlio Baldur, ucciso da Kratos.
Questa che avete letto è la premessa di un’epica e lunga avventura. Un’avventura che è solamente una pretesa per raccontare una storia in realtà intimista e focalizzata sulla crescita dei suoi protagonisti.
Il gigante e lo spartano
Il cambiamento è un processo lungo e difficile. Richiede pazienza e sacrificio ma, soprattutto, un sincero desiderio di essere una persona migliore.
Kratos vuole affrontare questo cambiamento per suo figlio. Essere un dio migliore per donare ad Atreus una vita lontana dalla guerra ma anche, più di tutto, Kratos desidera essere un padre migliore. Un compito difficile per qualsiasi genitore, e ancora di più se tuo figlio è un adolescente dotato di poteri divini e il Ragnarök è alle porte.
Atreus, adolescente e non più ragazzino ignaro della sua vera natura, è in una fase di trasformazione (letterale) e ribellione nei confronti di un padre forse un po’ troppo protettivo. Alla sua età si esige ad avere più spazio e libertà, nonché maggior responsabilità per dimostrare di essere diventati grandi. Atreus che le sue opinioni fossero ascoltate realmente, e non ignorate a favore delle decisioni dell’ultracentenario padre.
Il loro è un viaggio di crescita, fatto di alti e bassi, di bugie e segreti, in cui ognuno impara dall’altro. Una storia che riesce a fare breccia anche nel cuore più freddo, e si sviluppa in maniera organica senza forzature.
God of War: Ragnarök si concentra principalmente sui due protagonisti. Ciò non significa che gli altri personaggi siano peggio approfonditi ma, anzi, a loro viene dedicato il giusto tempo per raccontare la loro evoluzione, e in diverse occasioni rubano la scena grazie alla bontà dei dialoghi e la loro interpretazione.
Non tutti i nodi vengono al pettine
Per quanto valida e solida sia la sceneggiatura di God of War: Ragnarök, non posso fare a meno di notare alcune incongruenze e ingenuità.
In qualsiasi storia, che sia un romanzo, un film o, come in questo caso, un videogioco, ogni elemento della trama deve avere uno scopo ben preciso. Se qualcosa è futile o mal posizionato, la sceneggiatura ne risente e di conseguenza anche l’impatto sul pubblico.
God of War: Ragnarök presenta elementi della trama che, seppur interessanti inizialmente, alla fine perdono di significato lasciando ignoto il loro scopo. Eventi che appaiono importanti, ma poi mai affrontati realmente e tralasciati. Oggetti particolari che fungono da McGuffin (che chi ha giocato capirà), il cui significato dal punto di vista della sceneggiatura non ha un reale valore, forse a causa di un antagonista che avrebbe meritato maggior approfondimento.
Un dio buono
In God of War: Ragnarök ho percepito l’intenzione di comunicare al giocatore che Kratos non è più un burbero e solitario guerriero, ma una persona più amichevole e comprensiva. Un Kratos lontano dallo stereotipo di uomo forte e rabbioso, che vede la fiducia nel prossimo come una debolezza, e l’unica via che conosce è quella della battaglia. Un dio greco che trova conforto nei suoi compagni e amici, con i quali si confida e condivide i propri pensieri. Uno spartano che, oltre alla lancia e lo scudo, apprezza la cultura e la poesia.
Dietro tale scelta, ma forse sono io malizioso, potrebbe nascondersi un intento educativo, o anche un tentativo di rendere piacevole Kratos a coloro che non sopportano la sua versione esageratamente brutale e antieroica.
A prescindere dai gusti personali, Santa Monica Studios ha il pieno diritto di evolvere il personaggio da loro creato come ritiene più opportuno. La mia critica non è fintanto sulla metamorfosi di Kratos di per sé, ma nei modi in cui questa viene narrata.
Alcuni dialoghi sono intrisi d’infantilità e complimenti gratuiti che ho trovato, con tutta sincerità, fuori luogo. Un eccesso di bontà che onestamente mi aspetto in un lungometraggio animato targato Disney, non di certo in God of War.
L’assenza di chiaroscuro rende Kratos una persona più piacevole, ma elimina anche il cinismo che rendeva il suo personaggio credibile e coerente con la sua brutale natura. Seppur cerchi il cambiamento, rimane un dio che la maggior parte della sua vita (e anche in questo gioco, seppur per motivi più nobili) uccide brutalmente qualsiasi cosa gli si pari davanti. Sarebbe stato più interessante, a mio parere, se invece di tentare di sopprimere la bestia dentro di lui ne avesse accettato l’esistenza, imparando a vivere con se stesso.
Può anche darsi che gli sceneggiatori abbiano fatto scoprire la bontà dentro Kratos, e poi in un probabile seguito unire la personalità buona e cattiva concludendo definitivamente l’arco narrativo del dio della guerra.
Detto ciò, la qualità della regia, sceneggiatura e, non meno importante, l’ottima colonna sonora di Bear McCreary rendono God of War: Ragnarök un’eccellenza dal punto di vista narrativo. Infatti, nonostante i difetti citati, quest’ultima avventura di Kratos riesce a emozionare, e anche commuovere. E alla fine è quello che conta davvero.
Migliorare senza rivoluzionare
God of War: Ragnarök è un seguito diretto non solo per quanto concerne la storia ma anche il gameplay.
Infatti, Santa Monica Studios ha preferito migliorare e perfezionare quanto fatto in God of War senza aggiungere grosse novità. Una scelta tutto sommato sensata, in quanto già il primo capitolo spiccava per un’eccellente giocabilità che necessitava solamente di qualche messa a punto.
Il ghiaccio e il fuoco
Kratos dispone di un armamentario che gli permette di eliminare ogni genere di minaccia, che sia sulla terra o in aria, di fuoco o di ghiaccio. L’ascia rimane l’arma principale e più potente anche in questo nuovo capitolo, come rimane invariato il potere di lanciarla e poi richiamarla come il martello di Thor. Novità esclusiva di God of War: Ragnarök è invece l’abilità di caricare il potere elementale (in questo caso il ghiaccio) per recare effetti di congelamento sui nemici. Questa meccanica vale anche per le Lame del Caos, che a differenza del primo gioco, sono utilizzabili fin dall’inizio. Queste sono ottime armi per colpire più nemici contemporaneamente e velocemente, ma i danni sono ridotti.
Non essere così saccente Atreus!
Diversi giocatori hanno criticato la rapidità con cui Atreus (ma in realtà qualsiasi altro compagno) fornisce indicazioni su come risolvere i puzzle ambientali. Non viene lasciato nemmeno il tempo al giocatore di riflettere qualche minuto che il compagno di turno propone come risolvere l’enigma. Personalmente non mi ha rovinato l’esperienza, ma sarebbe stato preferibile disattivare questi suggerimenti, nello stesso modo in cui è possibile personalizzare l’esperienza in tanti altri aspetti.
Se vi interessa saperne di più sull’argomento vi invito a guardare l’ottimo video di Game Maker’s Toolkit.
L’ascia e le lame, oltre a letali armi, vengono spesso utilizzate per risolvere enigmi e muoversi nell’ambiente. L’ascia può essere usata per spostare oggetti lontani, oppure usare il suo potere congelante per bloccare un ingranaggio o cambiare il flusso dell’acqua in specifiche situazioni. Le Lame del Caos vengono utilizzate per scalare pareti, saltando dall’una all’altra, o per dondolarsi.
Gli enigmi sono semplici ostacoli inseriti al solo scopo di alternare il combattimento con qualcosa di più tranquillo. Lo stesso vale per le sezioni platform: estremamente pilotate e impossibili da sbagliare.
Brutale e letale
Come in uno sparatutto, tipo Call of Duty: Modern Warfare II, deve essere divertente sparare, allo stesso modo in un action/adventure deve essere divertente combattere.
L’ultima fatica di Santa Monica Studios non delude: i combattimenti di God of War: Ragnarök vantano movimenti fluidi e continui, che si possono ottenere imparando a combinare correttamente le diverse mosse a disposizione.
Il giocatore più abile può essere in grado di eliminare qualsiasi nemico imparando a sfruttare al meglio le doti combattive di Kratos, oltre a una conoscenza di armi e poteri magici. Il gioco mette infatti a disposizione diverse abilità e poteri. Le prime si sbloccano tramite punti esperienza, mentre i secondi vanno cercati esplorando i livelli. Il potenziamento di armi e armature aggiunge un ulteriore livello al sistema di combattimento. Questa componente ruolistica, introdotta in God of War, è stata estesa portando ulteriore varietà e personalizzazione.
Rispetto al primo capitolo, Kratos ha a disposizione molteplici scudi che permettono al giocatore maggior libertà nei combattimenti. Uno scudo pesante e grande, ad esempio, è adatto per difendersi da attacchi continui ed è l’ideale per quelli che giocano in modo più difensivo. Uno scudo leggero e piccolo, invece, è l’ideale per i giocatori temerari che prediligono controffensive tramite il meccanismo della parata attiva. Io ho utilizzato questo tipo di scudo per la maggior parte del tempo, convinto che dopo le cento ore con Sekiro: Shadows Die Twice la tecnica della parata non avesse più segreti per me. Così non è stato: forse a causa dei 30fps su PS4 base, ma le tempistiche del contrattacco sono difficili da rispettare.
Raccogliere energia vitale e risorse da terra con una, seppur breve, animazione è una rottura di scatole inutile. Il processo può essere automatizzato dalle impostazioni, ma avrei preferito che gli oggetti venissero verso di Kratos come avveniva nei vecchi giochi.
God of War: Ragnarök presenta combattimenti incredibilmente soddisfacenti e divertenti, che ampliano l’ottimo lavoro fatto nel primo gioco con diverse aggiunte e un maggior livello di personalizzazione. Tuttavia, rimangono alcuni problemi come l’impossibilità di cancellare le combo e una telecamera talvolta problematica. Nel primo caso, cancellare le combo è utile per schivare gli attacchi rapidi impossibili da prevedere. Negli scontri più difficile mi è capitato di essere colpito perché Kratos rimaneva bloccato fino alla conclusione dell’animazione. Per quanto riguarda la telecamera, la maggior parte del tempo non è un problema, ma il sistema di aggancio dei nemici rende il combattimento difficile contro certi specifici miniboss opzionali.
Piccoli dettagli che avrei preferito veder sistemato, data anche l’assenza di particolari novità in questo gioco.
Ciononostante, il combattimento God of War: Ragnarök è indiscutibilmente ben fatto, anche grazie a ottime animazioni sia per l’attacco, sia per le reazioni degli avversari. Queste animazioni, unite a un sound design efficace, rendono ogni singolo colpo di Kratos appagante. In particolare lascia, di cui si sente la pesantezza e potenza.
Il dio dell’accessibilità
Come i giochi Sony ci hanno ben abituato, anche God of War: Ragnarök eccelle per quanto riguarda l’accessibilità. Il gioco dispone di ogni tipo di opzione immaginabile per assecondare le necessità di qualsiasi giocatore, a prescindere dalle sue abilità. Queste opzioni sono anche utili per chi non soffre di particolari condizioni, ma vuole semplicemente personalizzare l’esperienza a secondo dei propri gusti. Ad esempio, io ho settato il gioco in modo tale che le risorse vengono raccolte in automatico senza nessuna pressione del tasto, e ho anche assegnato a R3 il comando di spostare la visuale in direzione dell’obiettivo (perché non mi piace perdermi). Ovviamente ci sono anche diversi livelli di difficoltà, per chi è interessato solo alla storia fino a coloro che vogliono una sfida divina.
I nove regni
La qualità produttiva di God of War: Ragnarök è una delle più alte che abbia mai visto. Non ricordo un gioco con una tale quantità di contenuti così minuziosamente curati.
Ogni regno è unico e sfoggia una quantità di dettagli e varietà che ha dell’incredibile. Dal punto di vista tecnico è un miracolo che una console di sette anni fa riesca a gestire questo ben di Dio, mantenendo stabili i trenta frame al secondo e caricamenti relativamente brevi.
Grandissimo lavoro di modellazione sui personaggi, non solo dal punto di vista tecnico ma anche quello artistico. Il loro aspetto racconta una parte di loro stessi, come anche le ottime animazioni del corpo.
Per quanto l’impatto grafico sia ottimo, a livello artistico sto notando una certa tendenza in casa Sony a puntare a uno stile che colpisca il giocatore con colori saturi e una bellezza estetica facilmente apprezzabile. Un’osservazione e non un difetto, ma sarebbe interessante vedere scelte stilistiche più originali e ambiziose in futuro.
God of War: Ragnarök è ricco di contenuti secondari che permettono di allungare l’avventura di svariate ore. Non si tratta di semplice quest di poco conto (anche se comunque presenti) ma addirittura di aree enormi e completamente inedite.
Non saltare le missioni secondarie
Le missioni secondarie sono spesso curate quanto quelle primarie. Anche la storia è ben integrata, fintanto che è un peccato saltarle in quanto approfondiscono i personaggi e aggiungono pezzi di trama non così trascurabili. Addirittura il vero finale, quello che fa scorrere i titoli di coda completi, è nascosto come quest secondaria.
Sarebbe stato preferibile dividere queste missioni in una categoria diversa, in modo da rendere più chiaro il contenuto narrativo.
La varietà di nemici è esponenzialmente aumentata rispetto al gioco del 2018. Sono state aggiunte nuove tipologie, e varianti di queste. Gli sviluppatori si sono assicurati che lo stile di combattimento di ogni avversario sia abbastanza diverso da fare cambiare approccio al giocatore . Anche i miniboss sono più numerosi, anche se tendono a essere varianti in diversi casi. Dove invece God of War: Ragnarök non è migliorato e nella quantità di scontri epici. In realtà i boss sono in buona quantità, ma nulla di paragonabile ai colossi della precedente generazione. Onestamente non lo ritengo un difetto, ma un semplice cambio di direzione rispetto al passato.
Commento Finale
God of War: Ragnarok è un seguito diretto del suo precedente capitolo. La storia continua la trasformazione di Kratos e il rapporto con il figlio, dando spazio anche ai personaggi secondari. Tuttavia alcune ingenuità e incoerenza narrativa minano in parte un'eccellente trama. Il gioco evolve anche nelle meccaniche di gioco: queste sono state estese e rifinite portandole al meglio del loro potenziale, arricchendo di conseguenza un sistema di combattimento già ricco. Il lato tecnico stupisce per la solidità delle performance e una grafica dagli standard altissimi. Ultimo ma non meno importante, impostazioni ricche di opzioni per quanto concerne l'accessibilità e la personalizzazione del gioco.