L'ultima opera del maestro Hideo Kojima: Death Stranding è veramente il capolavoro di cui tutti parlano o un grande tonfo nell'acqua?
Non sono un fan di Hideo Kojima. Non ho mai giocato un Metal Gear Solid. Dai video gameplay mostrati Death Stranding sembrava un simulatore di corriere: soporifero e ripetitivo. Non c’era nulla del videogioco che potesse interessarmi.
Eppure, contro ogni logica, ho deciso di comprarlo.
Ammetto che la decisione è stata presa perché come possessore di un blog non potevo esimermi dal parlare di un titolo così importante. Tuttavia il motivo principale è un altro: Death Stranding è uno dei rari esempi di titoli tripla A autoriali. Prodotto senza vincoli, libero di essere come il suo autore, Hideo Kojima, vuole che sia.
Il rischio delle opere autoriali è che non possono piacere a tutti. Non sono create per un pubblico generalista, non puntano a conquistare le masse. Questa è stata la mia paura: sapevo di volerlo giocare ma temevo potesse non piacermi.
La mia paura si è concretizzata in realtà.
Connessioni umane
Death Stranding non vuole essere intrattenente. Lo scopo di Hideo Kojima è diffondere un messaggio di unione, qualcosa che il mondo di oggi ha enormemente bisogno. Lo fa tramite un gameplay in cui bisogna connettere tra di loro le persone e aiutarle per rafforzare il legame con la comunità. Lo fa con un multigiocatore asincrono dove i giocatori possono darsi una mano condividendo risorse e consigli.
Dove invece fallisce miseramente è nella storia.
Partiamo dalle cose positive: Kojima ha creato un universo originale, ricco di possibilità e con un enorme potenziale. Tuttavia una buona immaginazione è solo il punto di partenza per scrivere una storia. Tutti noi abbiamo idee, magari anche geniali, ma in pochi sono in grado di raccontare.
Kojima non rientra tra questi pochi e la sua regia, ma soprattutto scrittura, è pessima. Il suo messaggio si disperde in una trama pretenziosa e incasinata in cui infila dentro troppo tematiche. Invece di costruire una storia che comunicasse chiaramente il suo messaggio, ha voluto a tutti costi mettere in piedi un intreccio narrativo stupidamente complesso. Vuole essere profonda e intelligente ma risulta superficiale e banale.
La trama viene spiegata nel più orribile dei modi: monologhi. I personaggi tendono a parlare per interminabili minuti con pochissimi scambi di battute. Le loro frasi sono ridondanti con concetti che vengono spiegati e rispiegati così tante volte da diventare nauseante.
Per concludere, Kojima possiede l’incredibile abilità di rovinare i momenti più importanti (soprattutto il finale) con scelte di design idiote, battute imbecilli e comportamenti anomali. Inoltre, nonostante ci siano 10 ore di filmati, diversi elementi della trama vanno scoperti tramite documenti da leggere, i quali si sbloccano completando le centinaia di missioni secondarie.
Il fastidio fatto persone
I personaggi sono finti, inespressivi, fastidiosamente melodrammatici e terribilmente espliciti nel comunicare le loro emozioni. Al primo incontro con Sam, il protagonista, si aprono come fossero dallo psicologo. Vomitano i loro drammi interiori, come se dovessero a tutti i costi raccontare la propria storia.
I motivi per cui si relazionano in questo modo con Sam, il quale per loro è uno sconosciuto che ha la fobia di essere toccato, parla pochissimo, non vuole avere relazioni e non sembra nemmeno fregarsene di quello che dicono è per me ignoto. Questo modo di presentare le persone è innaturale, nonché totalmente privo di senso e, soprattutto, invece di farci interessare a loro li rende fastidiosi.
Kojima sembra convinto che basti un flashback che racconta di un evento drammatico, qualche lacrima e una musica triste per farci stare a cuore un personaggio. Cerca di fare presa sull’empatia umana, la quale è vero si attiva quando sentiamo di qualche avvenimento drammatico, ma nel mondo reale. Nella finzione non è così semplice. Un personaggio scritto bene non ha bisogno di dichiarare il suo stato d’animo. Lo si dovrebbe capire osservandolo, intuendolo dal comportamento e dall’umore.
Le storie di questi personaggi sono fine a sé stesse. Non hanno influenza sulla trama e nemmeno sui stessi personaggi. Se non fossero loro a parlare direttamente di quello che gli è successo non si sarebbe nemmeno consci del loro dolore perché non lo esprimono mai.
L’unica cosa della storia che mi ha emozionato è stato il rapporto tra Sam e il suo BB (il feto dentro la capsula per chi non lo sapesse). Un’amicizia basata su una sinergia unica e un legame speciale.
Kojima regista
Se vuoi narrare in un videogioco devi farlo con i mezzi del videogioco. Sfruttare l’interazione per immergere nella storia come solo i videogames possono fare. Mettere il giocatore nei panni del protagonista per aumentare l’empatia verso di lui.
Per questo non mi piace il fatto che Kojima ricorra troppo spesso al cinema. Soprattutto perché quando gioco non voglio che l’azione si interrompa per svariati minuti, se non ore, e posare il pad giusto per vedere un filmato. Inoltre in certe parti, il gioco diventa interattivo quando non c’è nulla da fare. Ad esempio, c’è un momento in cui bisogna stare fermi 3 minuti a guardarsi intorno oppure camminare per un minuto giusto per fare iniziare un altro filmato.
Dispiace vedere che una storia così interessante, un cast eccezionale e una colonna sonora, composta da Ludvig Forssell, in perfetta sintonia col gioco perdono di valore a causa di una regia incompetente.
Simulatore di postino
Death Stranding è un simulatore di fattorino. Inutile girarci intorno: per il 90% del gioco l’attività principale è andare dal punto A al punto B e ritorno. Kojima ha sostanzialmente preso una meccanica secondaria di molti videogiochi e l’ha trasformata nell’attività principale di Death Stranding.
Per superare gli ostacoli lungo il percorso vengono messi a disposizioni strumenti e strutture. Se ad esempio bisogna scendere da una montagna la corda è la soluzione migliore, per superare un fiume profondo meglio la scala. Proseguendo col gioco si sbloccano nuovi progetti, come veicoli, ponti, torri di osservazioni, box postali fino ad addirittura autostrade.
Seppur personalmente trovo sia un’attività noiosa e logorante, le meccaniche simulative sono ben progettate e parte fondamentale dell’esperienza. Il level design realistico rende muoversi lungo la mappa una sfida costante che richiede pianificazione e un’attenta osservazione. I movimenti sono pesanti e lenti, ed è fondamentale gestire il peso usando i tasti R2 e L2 (che controllano le braccia) per bilanciare Sam.
Meglio correre che combattere
Il sistema di combattimento è penoso e l’intelligenza artificiale è inesistente: i nemici, anche se in gruppo, tendono ad attaccare uno alla volta (devono aver fatto la stessa accademia di quelli di Assassin’s Creed) e possono essere facilmente sconfitti nel corpo a corpo. Quando si impugna un’arma il feedback è tremendo, la mira lenta e senza assistenza; non ci sono indicatori che mostrano la provenienza dei colpi e non c’è nemmeno un sistema di coperture. Inoltre bisogna per forza portare più armi dello stesso modello perché per ognuna non si può portare più di 150 colpi.
Le tre sezioni di sparatorie obbligatorie sono identiche, con un level design schifoso e nemici sempre uguali. I boss, seppur belli artisticamente, attaccano per sbaglio e per sconfiggerli è sufficiente sparargli addosso stando fermi. Tra l’altro i movimenti lenti rendono le schivate (quelle poche volte è necessario) un fastidio.
Calmare il BB
Il BB, il feto dentro la capsula che vedete in foto, è uno strumento necessario per scovare le CA, i “fantasmi” che appaiono solitamente dopo la pioggia. Il BB quando sotto stress va calmata: va letteralmente cullato muovendo il dualshock.
Anche la componente furtiva, di cui Hideo Kojima ha molta esperienza, è superficiale e si limita a nascondersi nell’erba alta. Inoltre il level design non è adatto allo scopo: completamento aperto, senza coperture e con nemici incapaci di sentire anche a un metro di distanza.
Gli incontri con le CA, i mostri fluttuanti responsabili della rovina del mondo, sono ripetitivi e ben presto diventano una scocciatura più che una sfida stimolante. Per superarli basta camminare abbassati, trattenere il respiro quando il gioco lo dice, e sostanzialmente fare meno rumore possibile. Anche quando si viene catturati è sufficiente correre al di fuori dei confini e scappare dal miniboss. Non fanno paura come alcuni affermano, soprattutto perché vengono presto fornite armi per sconfiggerli (anche se ho scoperto spariscono pisciandogli sopra).
Un viaggio solitario in compagnia
Mi è piaciuta molto l’idea di un multigiocatore asincrono. Il protagonista svolge il suo viaggio da solo ma il mondo è condiviso con altri giocatori impegnati a raggiungere il medesimo obiettivo. Questi giocatori possano dare una mano condividendo attrezzature oppure con consigli o incoraggiamenti. Il multigiocatore è il vero portatore del messaggio di Kojima perché mentre Sam connette le basi d’America noi giocatori ci colleghiamo l’un l’altro. La parte migliore per me è ricevere ringraziamenti dagli altri giocatori, sapere che la strada che ho tracciato io è stata utilizzata da altri. La gioia del dare e della condivisione. Una delle poche emozioni che il gioco è riuscito a regalarmi.
Dopo una sola settimana dall’uscita del titolo, il mondo di Death Stranding pullulava di lasciti degli altri giocatori: strade, torri di osservazione e ricarica, scale e tanto altro. L’enorme quantità di aiuti mi ha reso eccessivamente facile il lavoro rendendo inutile portare con me dell’attrezzatura in quanto consapevole sarebbe stata già sul posto. Per fare apparire le strutture degli altri giocatori è necessario collegare la zona alla rete, pertanto in quelle nuove bisogna cavarsela da soli. Questo risolve parzialmente il problema dell’accesso di strutture nella mappa ma non lo aggiusta del tutto. Si può sempre giocare offline ma comprometterebbe l’esperienza.
Dissonanza videoludica
Il motivo per cui a molte persone questo gioco piace è perché sono riusciti a immedesimarsi nel suo mondo. La stessa esperienza l’ho provata anch’io con Red Dead Redemption 2, gioco che trovavo all’inizio lento ma poi ho apprezzato moltissimo.
Come ormai vi è chiaro lo stesso non è accaduto per Death Stranding. Il motivo sono le numerose contraddizioni tra il gioco e la storia.
La storia afferma che i personaggi vivono negli ex Stati Uniti d’America. Tuttavia, appena si apre la mappa si scopre che in realtà degli Stati Uniti ha solo la forma, ma le dimensioni sono molto più piccole. L’ambientazione è stata presa dall’Islanda e non ci sono segni, simboli o prove che la terra dove Sam poggia i piedi sia l’America. Non aveva più senso inventarsi un luogo immaginario? Perché scegliere un paese come location ma poi tenerne solo il nome?
Il secondo problema è il multiplayer: per tutto il tempo i personaggi si congratulano con Sam di quanto sia coraggioso e bravo a compiere questo viaggio da solo. La storia afferma che c’è solo lui ma nel mondo ci sono segni della presenza di altri corrieri, gli altri giocatori, con cui è possibile interagire lasciando dei “mi piace”. Questo fenomeno non viene mai spiegato. Ogni volta che interagisco con oggetti lasciati di altri mi ricordo che sto giocando a un videogioco.
Viene affermato che l’umanità è in crisi eppure di questa crisi non c’è traccia. Mi aspettavo un gioco più cupo in cui l’umanità era disperata e sull’orlo della follia. Quello che invece vedo sono strutture all’avanguardia, protette da campi di forza in cui le persone vivono tranquillamente, case di design in mezzo alle montagne.. e ordini per consegnare pizze (entro 30 minuti che si raffredda).
La cosa più fastidiosa è la continua rottura della quarta parete. Posso comprendere Sam che reagisce alla presenza del giocatore, ma ho trovato veramente fuori luogo i “mi piace” che vengono dati dai personaggi quando alzano il pollice.
Forse per voi saranno dettagli, minuzie su cui si può passare sopra, ma per me sono quei particolari che fanno la differenza e, queste discrepanze tra la storia e il gameplay, mi hanno impedito di immergermi nel ruolo dello spedizioniere. Per questo ho trovato l’attività di consegnare pacchi tediante.
Tecnicamente eccellente, artisticamente deludente
Mi capita spesso di scrivere che un videogioco che difetta dal lato tecnico della grafica compensa con quello artistico. Death Stranding è esattamente l’opposto. Un gioco che sfrutta al massimo la PS4 e il motore di gioco Decima Engine ma non riesce ad utilizzarlo per creare un mondo memorabile.
L’enorme mappa è una fedele rappresentazione della natura. Montagne innevate, fiumi che sgorgano, burroni e colline. Tutto modellato per essere reale. Le tempeste di pioggia e neve sono meravigliose e le migliori che abbia mai visto. Tuttavia rimane comunque un mondo vuoto, senza animali o persone che non siano i Muli.
Non è un bel posto da esplorare perché non c’è nulla da vedere. Solo e sempre lo stesso tipo di edifici, qualche struttura dismessa ogni tanto ma nulla di più.
La cosa più incredibile è la mancanza del ciclo giorno e notte. Trovo veramente insensato che in un titolo che fa del viaggio il suo fulcro si svolga sempre alla stessa ora del giorno. Sarebbe stato bello salire sul monte più alto per vedere il tramonto. Invece non è possibile farlo, l’unico cielo è parzialmente sereno o nuvoloso.
Conclusioni
Apprezzo la volontà di Hideo Kojima di creare un gioco con un chiaro messaggio. Trovo audace il suo intento di comunicare col giocatore in una maniera che nessun’altro ha fatto prima. Ma per quanto ammiri Kojima per aver cercato di innovare l’industria del gaming è anche il motivo per cui questo gioco non funziona su molteplici livelli.
I videogiochi sono complessi e per realizzarne uno è richiesta pazienza, ingenti risorse e persone esperte in diversi campi. Kojima è una sola persona e non può essere competente in tutte queste materie. Ma lui è Hideo Kojima, il più grande game designer, il “maestro”, qualsiasi cosa faccia è un capolavoro. Non è così. Convincersi di essere il migliore porta solo alla rovina e a non chiedere mai aiuto o sentire pareri esterni. Kojima deve scendere dal palco su cui i fan l’hanno messo. Essere meno avventato, sparare meno cazzate e pensare attentamente cosa vuole.
Death Stranding non è un capolavoro, per quanto mi riguarda è un gioco discreto che poteva essere qualcosa di grandioso.
Tuttavia la mia esperienza non è la vostra. Le 40 ore di agonie che io ho passato per voi potrebbero essere di divertimento. Dovete provarlo, rischiando che sia una rottura di palle, ma è l’unico modo per comprendere appieno Death Stranding.
scritto da Filippo Giacometti e pubblicato il giorno
Commento Finale
Death Strading è un passo falso. Un gioco sepolto dalle ambizioni del suo stesso creatore e incapace di raggiungere appieno l'obiettivo prefissato. Un gameplay che alterna una componente simulativa raffinata a sezioni d'azione progettate male, scontri con i boss ridicoli e stealth inesistente. Una trama altezzosa e stupidamente complicata, che perde di valore a causa di una scrittura scadente e personaggi di contorno. Una grafica eccellente dal punto di vista tecnico ma comunque brutta da vedere, dai toni freddi e ambientazioni ripetute.
Gameplay
Meccaniche di gioco e level design
70
Tecnica
Grafica e ottimizzazione
90
Arte
Direzione artistica, storia e musiche.
82
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Commento Finale
Death Strading è un passo falso. Un gioco sepolto dalle ambizioni del suo stesso creatore e incapace di raggiungere appieno l'obiettivo prefissato. Un gameplay che alterna una componente simulativa raffinata a sezioni d'azione progettate male, scontri con i boss ridicoli e stealth inesistente. Una trama altezzosa e stupidamente complicata, che perde di valore a causa di una scrittura scadente e personaggi di contorno. Una grafica eccellente dal punto di vista tecnico ma comunque brutta da vedere, dai toni freddi e ambientazioni ripetute.