Gender Play: identità di genere e sessualità nei videogame.
Da damigelle in pericolo a letali guerriere sopravvissute, dal 1995 a oggi analizziamo l’evoluzione della figura femminile all’interno dei videogiochi.
La realtà e l’industria dei videogiochi è tradizionalmente associata a un pubblico prettamente maschile e adolescenziale, complice la presenza centrale di nerboruti protagonisti maschili iper-mascolinizzati (Kratos, guerriero muscoloso di God of War) e quella marginale, passiva e non play-able di personaggi femminili da salvare (la dolce Principessa Peach, di Super Mario Bros) o usati come mero oggetto sessuale (le varie spogliarelliste e prostitute di Grand Theft Auto), che nel tempo ha scolpito l’immagine di un industria interamente dominata dagli uomini per gli uomini.
LA NASCITA DI UN’ICONA
La rivoluzione ebbe inizio a Derby (una piccola cittadina inglese) nel lontano 1995. Il mondo del 3D iniziava a muovere i suoi primi passi e negli studios della software house Core Design i lavori per un nuovo ambizioso progetto cominciarono a essere abbozzati da un team composto da sole sei persone. Il disegnatore Toby Guard stava già delineando il protagonista, che inizialmente e inevitabilmente sarebbe dovuto essere di sesso maschile, come da rigida tradizione. Fu proprio qui che a Core Design e Toby venne in mente un’idea rivoluzionaria: il nuovo titolo avrebbe avuto per protagonista una donna. Fu così che dalla loro matita nacque l’icona indiscussa della rappresentazione della figura femminile nei videogiochi: Lara Croft, protagonista del franchise di Tomb Raider. Una donna forte e indipendente, Lara, ricca ereditiera britannica e archeologa di fama mondiale, esperta nell’uso di svariate armi da fuoco, totalmente sprezzante del pericolo e dotata di doti atletiche e di combattimento fuori dal normale. Un brand da numeri stellari, senza precedenti, quello di Tomb Raider, un qualcosa come 28 milioni di copie vendute per i primi cinque capitoli, la cui pubblicazione sulla ormai preistorica PlayStation One e Pc oscilla dal 1996 al 2000, e la consacrazione di Lara Croft a vera e propria Eroina Pop e Sex Symbol.
QUESTIONI DI GENERE
Da Lara Croft e le sue inseparabili doppie pistole in poi, questa rigida e tradizionale dicotomia tra maschile e femminile è stata scardinata, con un sostanzioso aumento di titoli che presentano personaggi femminili non più stereotipati e aprendo, parimenti, le porte al mondo delle varie identità LGBTQ+. La software house californiana Naughty Dog, con il suo The Last Of Us – Parte Due, è stata l’esempio perfetto di questa emancipazione, dando l’opportunità al giocatore di calarsi nei panni di ben due protagoniste femminili forti, determinate e non conformi ai modelli estetici socialmente dominanti (Ellie, che ritroviamo adulta dopo il primo capitolo ed Abby, personaggio inedito e seconda protagonista a tutti gli effetti, modellata sul corpo della body-builder Coleen Fotsch) e, allo stesso tempo, di rappresentare temi delicati come l’omosessualità di Ellie e la transessualità del giovane Lev.
Il corpo e la fisicità di Abby
CONCLUSIONE
La realtà e l’industria dei videogiochi è, oggi, un fenomeno d’espressione sociale e culturale, sopratutto tecnologica, tra le più rilevanti della società moderna, capace di rispecchiare la pluralità e diversità di un pubblico sempre più vasto con l’obiettivo di sensibilizzare, far riflettere e istruire.